Il Signore compatisce quanti attraversano la drammatica esperienza del lutto, permettendo a ciascuno di viverla secondo la propria cultura e l’indole personale.
D’altra parte, Egli traccia pure dei confini, affinché tale tempo di particolare sollecitazione emotiva non renda vulnerabili, inducendo a cercare errate rassicurazioni e nociva consolazione.
LA DEFINIZIONE DEL VOCABOLO
Il termine “lutto” deriva dalla radice latina “lugere” (“strappare, rompere”) e indica lo strappo di un legame umano a causa della morte.
Quanto esso sia effettivamente doloroso, dipende da diversi fattori intercorsi tra chi è morto e chi vive, come: lo specifico rapporto affettivo, il grado di parentela, la sensibilità individuale.
LA CELEBRAZIONE DEL DISTACCO
Nella sua forma più arcaica ed essenziale, la sepoltura è un ultimo saluto a chi non vedremo più sulla terra (Gen. 23:2-4).
In tale occasione, il popolo di Dio iniziò a radunarsi per stringersi attorno ai suoi membri colpiti dal lutto e per onorare la memoria dei defunti (Deut. 34:7-8; I Sam. 25:1; Mat. 9:23).
I testi biblici lasciano ampio margine di libertà per lo svolgimento delle esequie funebri e del periodo connesso (I Sam. 31:13; II Sam. 3:31; Ger. 16:5-7; Osea 9:4).
Si tratta di fasi delicate nelle quali ricordare chi ci ha lasciato: i tratti peculiari del suo carattere ed i momenti salienti della sua vita, specie quelli relativi alla redenzione in Cristo (Atti 9:39).
Il funerale cristiano è un momento in cui, considerando la testimonianza di chi ha compiuto il suo corso di fede, i viventi si fermano anche per riflettere sulla propria esistenza dinanzi a Dio (II Sam. 1:17-19; 3:33-34; II Tim. 4:6-8).
Meditare la Scrittura e annunciare la grazia divina, pregare e cantare degli inni in occasione di un funerale rende questo una riunione d’adorazione ed il culto va offerto al Signore dei vivi e dei morti, non certo al defunto (II Pie. 1:13-15).
Quando i funerali si svolgono in ambienti non “evangelici”, si può presenziare sodalizzando con il lutto altrui, senza però partecipare a forme di religiosità idolatra.
LA MANIFESTAZIONE DEL CORDOGLIO
La sepoltura costituisce un primo momento di sfogo per la traumatica perdita (II Sam. 3:32).
Lo smarrimento e il pianto sono assecondati entro un certo tempo dallo strappo affettivo
(Num. 20:29; Giob. 2:13).
Il rispettoso ricordo del defunto era inoltre manifestato vestendosi “a bruno”: la tunica o il manto scuro rappresentava in qualche modo l’ombra della morte, la fiamma di una lampada ovvero di una vita che si era spenta (II Sam. 14:2; Sal. 42:9; 43:2).
Questa forma era comunque un’usanza, non un comandamento e, come tale, lasciata alla libera sensibilità individuale (Sal. 35:14).
Il cristiano non è obbligato ad attuarla e non si può dire che pecca se indossa un abito scuro o un indumento colorato per un periodo seguente alla morte del familiare.
In quei contesti dove ciò costituisce un segno di dignità umana non contrastante la testimonianza dell’amore cristiano, il credente può esercitare la propria coscienza e, se lo sente, può fare anche questo alla gloria di Dio e al servizio dell’Evangelo (I Cor. 10:31-32).
L’ACCETTAZIONE DI UN’ASSENZA
Generalmente, il riassetto della propria vita senza un familiare, inizia dopo il funerale e prosegue gradualmente.
Nei primi mesi, capiterà di parlarne al presente, ma si tratta di aspetti intellettivi incondizionati. Quando una persona muore, specie se ciò avviene all’improvviso, quanti l’hanno perduta hanno bisogno di un certo tempo per realizzare che essa non interagisce più con loro, che quel riferimento umano non c’è più.
Tale processo, che rimane piuttosto soggettivo, può essere di durata e complessità variabile (I Cron. 7:22-23).
L’elaborazione del lutto consiste nella rivisitazione razionale ed emotiva dei fatti vissuti insieme a una persona deceduta, con la quale si era sviluppato un legame significativo e alla visione razionale delle conseguenze sociali legate alla sua morte.
Non è facile accettare la dipartita dei propri cari; l’amaro interrogativo più frequente è: “Perché?”.
Questa domanda può fare scorgere un rabbioso nonsenso che spesso offusca la mente nella fase più acuta del lutto, impedendo di aprirsi per ricevere profonde e costruttive consolazioni.
Si tende a contrapporre la benigna presenza o azione divina e la morte come due inconciliabili realtà. Come a dire: “Se c’è il Signore non c’è la morte e viceversa …” (Giov. 11:32).
Tale logica predispone a una serie di deduzioni falsate rispetto alla cura amorevole di Dio per la nostra vita, al Suo piano benevolo verso chi muore e chi rimane.
L’episodio della morte di Lazzaro dimostra quanto il Signore rispetta il lutto umano, compatisce dilanianti distacchi e vuole accompagnare le persone a prendere atto di un rapporto terreno spezzato dalla morte (Giov. 11:33-36).
LA PREVENZIONE DEL MALE
Il delicato periodo del lutto, mentre da una parte spezza dei legami, dall’altra può esporre verso altri insani legami spirituali.
Ricordare i defunti, compiacendosi o commuovendosi dinanzi ciò che ne ritrae la memoria alle fotografie, è normale, ma non bisogna passare a dialogare con i defunti (II Sam. 1:26-2:1).
Capiterà di sognare una persona defunta, che parla o agisce distintamente durante questa nostra attività cerebrale; non bisogna però cogliere alcun segno né andare alla ricerca di interpretazioni o collegamenti alla nostra condotta. Dobbiamo lasciare estinguere tutto con il risveglio fisico.
Il Signore vieta ogni forma di attaccamento che possa scadere in un culto offerto ai morti o soltanto distrarre dall’adorare il Dio vivente (Deut. 14:1-2).
Possiamo capire chi è pronto a sfruttare ogni porta per fare aprire allo spiritismo: Satana.
Occorre dunque vegliare per non trascendere oltre il rispettoso e affettuoso ricordo del caro estinto, lasciandosi attirare o trascinare in illusori contatti con i defunti, andando dietro esperienze intense ed eventi inspiegabili.
Cosa dire, infine, riguardo a spontanei gesti di tenero omaggio, di chi ad esempio si reca al cimitero per pulire la lapide e posizionarvi un fiore?
Siamo nel campo non di una prassi, da osservare o criticare, ma della libera esternazione dei propri sentimenti, del modo in cui ciascuno fronteggia il proprio lutto, reagisce ad un distacco umanamente incolmabile. Dinanzi a simili atti di delicatezza morale è opportuno stare un passo indietro senza lanciarsi in affrettati giudizi (Rom. 14:13-14).
LA REINTERPRETAZIONE SPIRITUALE
Oltre a far assimilare che la morte è passata sulle proprie relazioni umane, la speranza cristiana ci dà la consapevolezza che la persona defunta sulla terra continua a vivere in altre forme spirituali.
In realtà, per la creatura umana, fatta a immagine di Dio, dotata di uno spirito immortale, con la morte fisica finisce l’esistenza terrena, ma non termina la vita! (Rom. 14:9)
Non a caso si parla di trapasso, da una condizione terrena ad una dimensione ultraterrena.
Quando muore qualcuno è quindi più giusto affermare: “Non è più fra noi”, oppure: “È scomparso” (ai nostri sensi fisici), piuttosto che dire: “Non c’è più …”
Inoltre, bisogna riconosce che la vita va avanti anche per chi ha subito il lutto (Eccl. 3:1, 4).
Lasciare spegnere la cura di sé e di ogni altro proposito sarebbe come morire insieme alla persona deceduta o deviare in forme di culto rese alla loro personalità (Gios. 1:1-2; II Sam. 12:20-23).
Badiamo quindi a non tentare di “seppellire” ogni immagine o luogo che rammenta l’affetto perduto, anche perché evitare ogni fonte di tale memoria non è materialmente attuabile; si può invece imparare a convivere serenamente con le cose fatte insieme a chi ora è morto.
Con l’aiuto di Dio, potremo volgere un poco per volta la penosa commozione in compiacimento per tutti i bei ricordi e le lezioni di vita ricevute, ringraziando il Signore per il tempo in cui ci ha donato una persona, invece di recriminare per avercela tolta.
Possono esserci ancora altri familiari e amici che sono qui ed hanno relazione con noi.
In ogni caso, la ragione suprema della nostra vita non è un essere umano, per quanto caro ed importante, bensì Cristo! (II Cor. 5:14-15).
Con il Signore e per Lui, anche dopo il lutto, la vita procede verso gloriosi traguardi celesti (I Tess. 4:13-18).
Alessandro Cravana